Mezzo secolo di canto equivale allo snodarsi di un percorso dentro il proprio tempo. Così il coro “la Faita” ha festeggiato i suoi (primi) cinquant’anni con un viaggio – una delle molte iniziative in calendario nel 2016 – per incontrare la dimensione del tempo e degli uomini. Un itinerario in terra polacca, unitamente al parroco di Gavardo, don Italo, e da alcuni amici, per vivere appieno i molti utilizzi, dissennati o santificati, con i quali l’Europa ha attraversato le proprie epoche.

Prima tappa Cracovia, la città già signorile capitale polacca, che all’ombra del castello reale si srotola verso la Piazza del Mercato, enorme distesa di spazi aperti, l’ala centrale porticata, luogo di commerci per un centro dalle mille chiese. Accanto, il quartiere ebraico “Kazimir”, nell’unica città al mondo che non ha mai bandito gli ebrei, anzi li ha accolti per secoli in una città nuova, che non fosse umiliante ghetto ma sinonimo di libertà, almeno sino alla follia antisemita nazista.

Poi, a pochi chilometri di distanza, a Wieliczka, il coro si è calato dentro le viscere che il lungo e faticoso tempo degli uomini - sin dal XIII secolo - ha trasformato in miniere di sale, oggi sito Unesco di straordinario fascino. Cunicoli, gallerie, discese e scalinate sino a oltre 160 metri di profondità, per giungere all’estasi della grande cattedrale sotterranea, interamente scavata dai minatori e dedicata alle sante Barbara e Cunegonda. Statue, balaustre e altari interamente di sale, uno spazio che può accogliere migliaia di persone: un’acustica perfetta per l’esibizione del coro “improvvisata” e, nel contempo, molto apprezzata dai presenti, nell’intreccio fra altezze di voci e “profondità” di canti.

Il coro ha poi raggiunto il luogo-simbolo di quando gli uomini hanno usato il proprio tempo coltivando il “male assoluto”: i campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau. Un coro silente, dentro la sofferenza di milioni di persone, in un passato che non passa e che va ricordato anche nel tempo che verrà. L’indicibile Shoa, quasi 1,4 milioni di morti, gasati, fucilati, affamati o percossi, spogliati di ogni dignità. Un luogo che ci riguarda: anche da Gavardo due immigrati ebrei sono stati caricati su un carro bestiame, morti ad Auschwitz il giorno stesso del proprio arrivo.

Dal luogo nel quale Dio pare non essersi rivelato all’uomo nella sua bontà, per raggiungere la non distante la località di Wadowice, luogo natale di Karol Wojtyla, il santo Papa Giovanni Paolo II. Qui il tempo degli uomini ha accolto la difficile gioventù di un ragazzo appassionato di teatro e di sport, che nella sua vocazione ha attraversato la guerra e il regime comunista, sino a divenire Papa e santo della misericordia e della sofferenza. La Casa-museo, con i suoi allestimenti multimediali, ha intrecciato umanità e mistero, facendo conoscere al coro il legame speciale fra la Polonia e il “suo” Papa.

Il tempo è oggi il giubileo della Misericordia, ha ricordato don Italo concelebrando la S. Messa presso la Chiesa dei Carmelitani di Cracovia. Per una volta il coro “la Faita” si è sostituito alla corale cittadina: non importava la lingua o la sorpresa dei fedeli accorsi, qui ben sanno che - come ha ricordato sant’Agostino - chi canta prega due volte.

E luogo di preghiera è stata l’ultima tappa, lo straordinario monastero della Divina Misericordia di Lagewniki: imponenti, bianche architetture contemporanee a forma di nave con l’alto albero maestro stilizzato, forme volute da papa Wojtyla e consacrate nel 2002, accanto all’ottocentesca sede dove è sepolta santa Faustina Kowalska.

Qui ultimo canto del coro, a congiungere il tempo di ieri con quello di domani, viatico per il prossimo mezzo secolo di attività.