Un recente episodio di bullismo violento tra minori evoca scenari che siamo abituati a percepire come lontani e che invece esplodono sempre più frequentemente anche da noi. Non siamo alla criminalità napoletana di questi giorni, ma non si può sottovalutare i segnali.

I fatti sono semplici, ma non per questo meno agghiaccianti. Nicola (nome di fantasia, scelto dallo stesso protagonista), 17enne di Mazzano, sta andando a lezione di musica nei locali della scuola media del paese. Improvvisamente gli si affiancano due ragazzini di 11 e 13 anni, che lui conosce perché non è la prima volta che si divertono a tormentarlo. Lo insultano, lo scherzano, gli sputano addosso. Uno dei due prende la sella della propria bicicletta e fa il gesto di tirarla contro di lui. Nicola, che ha cercato finora di evitarli, va verso il bullo per strappargli di mano l’oggetto e in quel momento il compare gli tira un sasso in faccia. Nicola comincia a sanguinare copiosamente dal naso ed è stordito.

Una signora di passaggio, che ha assistito alla scena ma non ha fatto in tempo a sventare il gesto, gli presta soccorso e chiama ambulanza e carabinieri. Nicola viene portato all’ospedale, dove viene medicato e giudicato guaribile in dieci giorni, mentre i due aggressori, che avevano tentato di allontanarsi, sono rintracciati dai carabinieri e condotti per qualche ora in caserma, anche se per la loro età non sono in alcun modo imputabili. Pare siano già noti alle forze dell’ordine per altri episodi di aggressione e vandalismo, perciò a maggior ragione la situazione è preoccupante.

L’accanimento contro un ragazzo in quel momento solo, la reiterazione, l’atteggiamento di sfida e strafottenza non sono frutto di improvvisazione. I due bulli sono poco più che bambini, eppure non possiamo liquidare il fatto come una bravata tra ragazzi. Quello che vediamo accadere nelle periferie delle grandi città ci indigna, renderci conto che le aggressioni possono avvenire anche in uno dei nostri paesi è ancora più sconvolgente. Può capitare anche ai nostri figli.

Nicola ora è abbastanza tranquillo, la famiglia si è stretta attorno a lui e gli sono arrivati moltissimi attestati di solidarietà. «Ci ha telefonato anche il sindaco – racconta suo padre – oltre ai genitori dei due ragazzini. Ho apprezzato molto quel gesto, che io stesso come padre avrei fatto, anche perché può contribuire a rendere un figlio consapevole del suo grave sbaglio per dare così inizio al cambiamento. Episodi simili non devono più accadere a nessuno». I ragazzini tra l’altro sono italiani, di famiglie conosciute in paese, e questo ha destabilizzato ancora di più molti cittadini del luogo. 

Il disagio insomma non è solo lontano e la responsabilità di intercettarlo va ormai condivisa da tutti. Se la famiglia è in difficoltà, non basta dire che devono pensarci la scuola, i servizi sociali, le altre agenzie educative. Ognuno di noi deve e può contribuire se si vuole almeno arginare la deriva, fare gli spettatori significa solo diventare complici. Adulti che non sanno gestire la rabbia e la frustrazione e ricorrono gratuitamente all’insulto (che i social amplificano) possono essere un punto di riferimento? Solo l’educazione e la promozione di comportamenti inclusivi a tutti i livelli potrà creare modelli positivi ed efficaci. Non possiamo permettere che tutti i nostri “Nicola” abbiano paura ogni volta che escono da casa.

Giovanna Gamba