In questi giorni ricorre il centenario della battaglia dell’Ortigara durante la prima guerra mondiale. Un intervento di Maurizio Pretto ricorda per 51news.it quel drammatico avvenimento.

Dopo una serie di rinvii per cause meteorologiche i Comandi italiani fissarono l’attacco per la conquista del maledetto monte “Ortigara” sull’Altipiano di Asiago, per il mattino del 10 giugno 1917.

Alle ore 5.15 del mattino durante una giornata grigia e piovosa ma soprattutto nebbiosa entrarono in funzione le artiglierie italiane che scaricarono una valanga di fuoco sulle postazioni nemiche, ma appunto la fitta nebbia non consentì di colpire con precisione le postazioni e purtroppo non furono colpiti nemmeno i reticolati che potevano aprire i varchi.

Alle ore 15 dopo ben 10 ore di fuoco dell’artiglieria, gli alpini della 52ª Divisione ricevettero l’ordine di attaccare le postazioni nemiche e iniziò così il primo massacro: Gli Alpini incontrarono i reticolati e fu un grido di dolore, riporta una lapide a cima Lozze.

A cento anni esatti per ricordare questa tragica battaglia non continuerò con la storia degli avvenimenti, ma per non dimenticare trascriverò una delle lettere più toccanti e belle scritta ai genitori come testamento da un ragazzo di 20 anni: il Sottotenente Adolfo Ferrero, di Torino, 3º Reggimento Alpini, Battaglione Val Dora.

 

Cari genitori,
scrivo questo foglio nella speranza che non vi sia bisogno di farvelo recapitare. Non ne posso fare a meno. Il pericolo è grave imminente.

Avrei un rimorso se non dedicassi questi istanti di libertà per darvi l’ultimo saluto. Voi sapete che io odio la retorica… no no non è retorica quello che sto facendo, sento in me la vita che reclama la sua parte di sole; sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa ma orrenda.

Qui fra 5 ore vi sarà l’inferno. Fremerà la terra, si oscurerà il cielo, una densa caligine coprirà ogni cosa, rombi tuoni e boati suoneranno fra questi monti, cupi come le esplosioni che in questo istante medesimo sento in lontananza. Il cielo si è fatto nuvoloso e piove.

Vorrei dirvi tante cose… tante… ma voi ve le immaginate. Vi amo. Vi amo tutti. Darei un tesoro per potervi rivedere. Ma non posso, il mio cieco destino non vuole. Penso in queste ore di calma apparente a te Papà, a te Mamma, che occupate il primo posto nel mio cuore; a te Beppe fanciullo innocente , a te Adelina. Che vi debbo dire. Mi manca la parola, un cozzar di idee, una ridda di lieti e tristi fantasmi, un presentimento atroce mi tolgono l’espressione. No no non è paura, io non ho paura, mi sento ora commosso pensando a voi, a quanto lascio, ma devo dimostrarmi forte dinanzi ai miei soldati, calmo e sorridente. Del resto anche loro hanno un morale elevatissimo.

Quando riceverete questo scritto fattovi recapitare da un’anima buona, non piangete, siate forti, come avrò saputo esserlo io. Un figlio morto per la Patria non è mai morto. Il mio nome resta scolpito nell’animo dei miei fratelli; il mio abito militare, la mia fidata pistola (se vi verrà recapitata), gelosamente conservati stiano a testimonianza della mia fine gloriosa. E se per ventura mi sarò guadagnato una medaglia resti quella a Giuseppe.

O genitori, parlate, parlate, fra qualche anno, quando saranno in grado di capirvi ai miei fratellini, di me morto a vent’anni per la Patria. Parlate loro di me, sforzatevi di risvegliare loro il ricordo di me, è doloroso il pensiero di venir dimenticato da essi. Fra dieci forse venti anni non sapranno più d’avermi avuto fratello. A voi mi rivolgo vi chiedo perdono, perdono se vi ho fatto soffrire, se v’ho dato dispiaceri. Credetelo non fu per malizia. La mia inesperta giovinezza vi ha fatto sopportare degli affanni: vi prego di volermi perdonare. Spoglio di questa mia vita terrena andrò a godere di quel bene che credo di essermi meritato. A voi Babbo e Mamma, un bacio, un bacio solo ma che dica tutto il mio affetto. A Beppe e a Nina un altro e un monito: ricordatevi di vostro fratello, sacra è la religione dei morti, siate buoni. Il mio spirito sarà sempre con voi.

A voi lascio ogni mia sostanza, è poca cosa voglio però che sia da voi gelosamente custodita. A Mamma e Papà lascio il mio affetto immenso è il ricordo più stimabile che posso lasciarvi. Alla zia Eugenia il Crocifisso d’ argento al mio zio Giulio, la mia Madonnina d’oro, la porterà certamente. La mia divisa Beppe, con le armi e le robe mie. Il portafoglio (Lit. 100) lo lascio al mio attendente.
Un bacio ardente d’affetto dal vostro aff.mo Adolfo.

 

Il 19 Giugno 1917 il tenente Adolfo Ferrero cadde in combattimento e lo stesso giorno, dopo ben 9 giorni di lotta, quota 2105 dell’Ortigara fu gloriosamente conquistata dagli italiani. Tenuta la Cima a prezzo di enormi sacrifici e privazioni per 6 giorni, il 25 giugno 1917 gli austro-ungarici inviarono truppe fresche e alle 2.30 del mattino iniziarono il contrattacco e in poche ore la vetta tornò in mano loro e per gli italiani fu il secondo massacro.

Le perdite della 52º Divisione nella Battaglia dell’Ortigara furono di 660 ufficiali e circa 15.000 soldati.
Le perdite austro ungariche furono di 251 ufficiali e 8.577 tra sottoufficiali e soldati.

Oggi c’è una semplice colonna mozza, posta nel 1921 a quota 2015: “Per non dimenticare”.
A quota 2101 c’è il cippo posto dagli austriaci nel 1962: “Ortigara – Le Pozze. Giugno 1917. I superstiti austriaci combattenti ai loro indimenticabili camerati caduti su queste postazioni”.

Le vicende della lettera del tenente Ferrero sono narrate in un recentissimo libro “La lettera svelata”.

L’originale della lettera con le Medaglie è esposto al Museo del sacrario di Asiago, dove è tumulato anche Adolfo Ferrero, mentre la Bandiera del Reg. Val Dora è esposta al Museo della Guerra di Canove di Roana. La sorella Adelina (Nina) deceduta nel 1993, per essere eternamente vicina al fratello ha voluto essere sepolta nel cimitero di Asiago.

 

Maurizio Pretto

(L’intervento è comparso anche su www.comuni-italiani.it)