È mia consolidata abitudine trascorrere, nella settimana di santa Lucia, alcuni giorni a Firenze – città nella quale ho vissuto diversi anni – in compagnia di amici. Un’ininterrotta frequentazione che mi consente di osservare come la città, o meglio il suo tessuto umano e i suoi splendidi musei, muti di anno in anno. È innegabile che il turismo abbia alquanto mutato il contesto sociale del centro cittadino: molti residenti si sono spostati in aree meno centrali, fenomeno che ha portato a un massiccio cambiamento delle attività commerciali.

In questo “sconquasso commerciale” stupisce non tanto l’elevato numero di negozietti di souvenir d’ignota fabbricazione, quanto la spropositata apertura di attività legate al nutrimento. È come se i turisti espletassero esclusivamente due funzioni: mangiare ed evacuare (il nostro ruvido dialetto bresciano ben si adatterebbe a descrivere in modo assai colorito le due funzioni).

Non essendo particolarmente ingordo, dribblo ristoranti e pizzerie “tipiche”, debordanti gelaterie e, approfittando di una relativa calma, entro agli Uffizi. Non l’avessi fatto, una tedesca direzione ne ha devastato l’allestimento: i dipinti più noti inquadrati in ingombranti e antiestetiche strutture, sale ridotte a scenografie per una scadente recita amatoriale. I dipinti del Seicento esposti in sale le cui pareti grondano un improponibile color rosso “da ubriacatura”.

Lascio Firenze con occhi offuscati da coni metallici, di vario colore, che non so per quale sottile perversità chiamano alberi di Natale. Una Brescia notturna illividita da bianche luci natalizie, che la rende simile a un gigantesco ospedale, mi accoglie (parentesi pascoliana amo le fioche luci dorate che mi ricordano caldi focolari infantili).

A casa apro la finestra e nella quiete, come notturna civetta, urlo: dove sei cultura? Disturbando così il sonno di anziane monache delle adiacenti vie. La mia voce sbatte sulle troppo presto sbiadite tappezzerie di una vuota Pinacoteca, ma in lontananza un’eco sembra rispondermi. È un suono pietroso, antico che sembra provenire dai busti dei Cesari della Loggia: ne colgo l’inizio An..., ma il suono si perde nell’oscurità e mi addormento cercando di comprendere quale sia la parola uscita da quelle antiche labbra.

Buone feste da Brescia.

Giuseppe Merlo