Gli interpreti sono Andrea Giustacchini, Luca Lombardi e Paola Rizzi (l’ormai celebre Signora Maria), la regia è di Peppino Coscarelli, scene e locandina di Sara Ragnoli, voce di Filippo Zecchi. John Comini ha ricavato i brani da numerosi libri, a partire dai più celebri di don Milani: Lettera a una professoressa, L’obbedienza non è più una virtù, Esperienze pastorali, Lettere alla madre. Inoltre, sono confluiti nel testo anche passaggi tratti da altri volumi, come L’uomo del futuro di Eraldo Affinati, L’esilio di Barbiana di Michele Gesualdi (uno dei primi ragazzi accolti da don Lorenzo), Dalla parte dell’ultimo di Neera Fallaci, Non so se don Lorenzo di Adele Corradi (una professoressa che ha lavorato con il priore di Barbiana), e così via.
Nello spettacolo si racconta la vita di don Lorenzo che nel 1943, a vent’anni, abbandonò gli agi di un mondo borghese e colto nel quale era cresciuto per entrare in seminario e dedicarsi ai ragazzi poveri ed emarginati. Don Milani ha speso la propria vita nella missione di educatore perché senza istruzione non c’è né dignità né libertà. È morto di un male incurabile a soli 44 anni. “Una vita singolare, irripetibile, misteriosa, fulminante” come l’ha definita David Maria Turoldo. Don Milani è stato maestro, educatore, scrittore, ma prima di tutto prete.
Il testo teatrale mette in luce la sua intuizione, quella di offrire insieme al Vangelo gli strumenti culturali di base per capirlo, portando la scuola a vera e propria azione pastorale. Si racconta il suo rapporto conflittuale all’interno della Chiesa, il rischio di una strumentalizzazione dei suoi interventi, i metodi non ortodossi sul piano educativo. Si racconta la sua scelta sacerdotale, il suo appartenere - anche se con problemi - alla comunità ecclesiale.
Quest’estate il grande Papa Francesco ha visitato Barbiana e, primo fra tutti i Papi, ha reso omaggio a don Milani come “credente innamorato della Chiesa, anche se ferito”, un “educatore appassionato con una visione della scuola che mi sembra risposta alle esigenze del cuore e dell’intelligenza dei nostri ragazzi e giovani”. Secondo il Papa, l’inquietudine di don Milani “non era frutto di ribellione, ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale egli soffriva e combatteva, per donargli quella dignità che, talvolta, veniva negata”. Quella di don Milani era dunque “una inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola, che sognava sempre più come un ospedale da campo per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati”.
Lo spettacolo del teatro Gavardo non vuol farne un “santino”, ma una figura piena di entusiasmo e di contraddizioni, capace ancora oggi di suscitare interrogativi dentro la Chiesa, nella società e nel mondo della scuola. Per informazioni e richieste telefonare a Peppino 339-5936407 o visitare il sito del Teatro Gavardo.
John Comini