Sono giorni di tristezza, questi. Gaetano Mora ci ha lasciato. Molta gente l’ha conosciuto come imprenditore, come sindaco, come Presidente della Casa di riposo “La Memoria”, come sponsor di una squadra ciclistica e soprattutto come persona. Era sempre impegnato nelle associazioni, nell’oratorio, nella parrocchia, negli ex allievi degli Artigianelli, collaborando con don Angelo Chiappa nell’assistenza dei bambini orfani o in situazione di disagio familiare. Moltissima gente gli ha voluto bene e ora gli rende l’estremo saluto, circondando di affetto la moglie Caterina, i figli Mauro e Francesca, i fratelli e le sorelle. Sono giorni di tristezza, dicevo.

Ma io voglio ricordare Gaetano con il sorriso. Perché Gaetano Mora era e resterà per sempre il mitico Tano. Ho avuto la fortuna di conoscerlo attraverso il teatro, una passione che ci ha unito. L’avevo visto recitare in alcuni sketch all’oratorio, insieme al suo amico e cognato Peppino Coscarelli. Erano davvero due “ragazzi irresistibili”: lui era un mattatore, un improvvisatore, una scenetta di pochi minuti poteva diventare un dialogo di mezz’ora. La gente si scompisciava dalle risate e più la gente rideva più lui regalava battute scoppiettanti, anche grazie alla bravura di Peppino che gli faceva da “spalla”, accompagnandolo e porgendogli le battute e dando così colore e rilievo alla scenetta rappresentata. Tano a volte mi ricordava l’immenso Totò, in scena aveva una mimica incredibile, la battuta gli usciva con naturalezza, e inoltre sapeva tenere il ritmo delle parole, soprattutto in dialetto. Come nella commedia dell’arte, spesso le battute non erano previste dal copione, erano all’impronta, diventavano un “tormentone”, per la gioia di grandi e piccini. Tano amava rivolgersi direttamente al pubblico, buttarsi in mezzo alla platea, caratterizzando i personaggi in modo comicissimo e regalando momenti di simpatia e gag esilaranti.

Una sera aveva partecipato alle prove del Gruppo Teatrale Gavardese, una compagnia amatoriale nata nel 1981 mediante l’aggregazione di un gruppo di giovani che volevano realizzare uno spettacolo in occasione della partenza di due sacerdoti –don Cesare Polvara e don Flavio Saleri – per l’Uruguay. Per questo era nato lo spettacolo “I racconti di un Pellegrino Russo”, tratto da un classico della spiritualità e rappresentato nelle chiese. Poi avevamo girato nelle piazze e negli oratori con “All’occhio, Pinocchio!”, liberamente tratto dalla celebre storia di Collodi, con musiche ideate da Gian Antonio Giustacchini. All’inizio Tano si è cimentato in uno spettacolo divertente, ma con sfumature malinconiche, dal titolo “I bei giorni”: due amici si rivedono dopo molti anni e ricordano i momenti della gioventù, dalle partite di “fobàl” all’oratorio, per passare poi alla scuola, fino a quando andavano a morose…

Ma l’exploit è stato nell’85, quando si sono realizzati due spettacoli. Il primo, Cenerentola, era la classica fiaba in versione comica, con la dolce Cenerentola, i simpaticissimi topolini, il gattone, le sorellastre e la matrigna…Interpretata da chi? Ma dal grande Tano, naturalmente, che con un’enorme gonna a ruota ed un cappello pieno di frutta faceva sbellicare dalle risate. E poi… e poi c’è stata la richiesta di rappresentare uno spettacolo in occasione del 40° anniversario di sacerdozio di don Francesco Zilioli. Doveva essere solo la rappresentazione di una sera, al massimo due, invece ebbe un grande consenso di pubblico e il Gruppo Teatrale Gavardese fece più di 70 repliche in giro per la provincia e venne richiesto anche in seminario. Questo grazie alla simpatia ed alla bravura dei tanti attori del gruppo, che hanno raccontato in modo allegro, ma non per questo meno profondo, l’arrivo di un sacerdote in una nuova parrocchia. Nella storia si intrecciano tante piccole storie della gente comune, dai büli ai giovani, dal curato alla suora, per non parlare delle betoneghe. Era il periodo storico in cui la Messa era ancora in latino e stava arrivando il grande rinnovamento del Concilio Vaticano II, di quando il servizio militare era obbligatorio e di un mondo che sembra lontano mille anni, ma che affonda ancora le radici nella nostra gente.

Tano era davvero al top: quando appariva in scena con la veste nera ed il cappello da prete, veniva giù il teatro…Memorabili le sue battute sulle betoneghe dalla bellezza ormai svanita (“sarale töte isè?”), i battibecchi con la perpetua (Valentina Avanzi) e le battute con i “bulli” delle Acli. Fra le betoneghe c’era Paola Rizzi, la futura Signora Maria, che già si faceva notare per le smorfie comiche e le battute folgoranti. Lo spettacolo è stato rappresentato anche da altre compagnie, come quella di don Marco Marelli a Montichiari, ed ha sempre riscosso un successo inaspettato. Mi sembra giusto ricordare che ogni volta che il Gruppo teatrale era chiamato in qualche posto, le offerte erano destinate a qualche missionario per la costruzione di pozzi o quant’altro. Agli attori del Gruppo Teatrale andava la gioia di stare insieme e di far felice la gente attraverso il teatro. È impossibile ricordare tutti gli attori, anche perché il Gruppo era “a fisarmonica”, ogni tanto si aggiungeva qualche nuovo amico. C’erano anche Vincenzo Mangiarini e Piero Tedoldi, due bellissime persone che ci hanno lasciato troppo presto. Ci seguiva sempre don Dario, cugino della moglie di Tano, che era venuto dall’Argentina per un periodo di riposo ed era diventato il padre spirituale del gruppo.

Poi, come “Star Wars” e tutti i grandi successi, “W il parroco” ha avuto un sequel, realizzato in occasione dell’ordinazione dell’amico don Paolo Goffi (ora parroco a San Vito di Bedizzole). E siccome ci piaceva il gioco del teatro, ci piaceva stare insieme e far felici le persone, abbiamo rappresentato “El trumbù” (storia di un barbiere), “Anche gli angeli mangiano patate” (con Tano che faceva il servitore muto di un convento di suore poverelle), “Una piccola storia” (Tano era Fangio, il meccanico, ed Alex Savoldi recitava nella parte di “The End”, l’apprendista, chiamato così perché non aveva i soldi per andare al cinema e vedeva solo i finali). Sono venuti poi “Pomodoro e mozzarella” (Tano era un pizzaiolo trasferito a New York con la numerosa famiglia) e “47 morta che parla”, rappresentato un po’ dappertutto. Come gli altri, era uno spettacolo essenzialmente basato sulla comicità popolare: era la storia di un vedovo che passa la sua vita a letto, in attesa che la buonanima della moglie gli indichi in sogno i numeri del lotto, mentre nel frattempo la casa veniva pignorata e la famiglia andava in bancarotta…

Poi Tano è divenuto Sindaco, ma la nostra amicizia è rimasta sempre intatta. Ho avuto la fortuna di rifare “W il parroco” nel 2013 per il 50° anniversario di sacerdozio di don Giacomo Bonetta e per un’iniziativa umanitaria dell’Avis di Gavardo in favore delle vittime in Siria. Oltre alla compagnia “storica” si erano aggiunti alcuni giovani dell’oratorio e molti bambini, figli dei “vecchi” attori. Ancora una volta Tano è stato il magistrale interprete del parroco, per lui sembrava che il tempo non fosse passato… Temeva di perdere la voce, temeva di perdere la memoria, e rivedendo un vecchio video dello spettacolo aveva detto: “Ma me so mia bù a fa chele robe lè…”  E invece è stato all’altezza della situazione, come sempre!

Caro Tano, abbiamo vissuto insieme per molti giorni, per centinaia e centinaia di serate, tra prove degli spettacoli e repliche in giro per la provincia. Lasciamo sempre qualcosa di noi, quando ce ne andiamo da un posto. Restiamo lì anche quando siamo andati via. Tu come me avevi una gran voglia di metterti in gioco sul palcoscenico, di indossare la maschera comica per poter far ridere la gente. Hai avuto il grande dono di far sorridere la gente. Un proverbio dice che chi fa sorridere qualcuno, accende una stella. Grazie per quello che ci hai donato. Ringrazio il Signore per averti incontrato. Ciao, Tano! Te voe bé!

Il tuo amico John

 

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