I preparati anatomici del medico Giovan Battista Rini sono stati al centro di una curiosa polemica. Si tratta di vere e proprie "mummie", reperti anatomici realizzati tra il 1820 e il 1830, ora depositati al MuSa, al nuovo museo aperto nei giorni scorsi a Salò.

A loro è dedicata una intera sezione. I “pezzi” - come è stato spiegato recentemente sul Corriere-Brescia - venivano utilizzati  per fini didattici con lo scopo di spiegare agli allievi la struttura del corpo umano. Una collezione che non è piaciuta proprio a tutti. Men che meno ad alcuni studiosi del movimento del brigantaggio in epoca unitaria al sud. E’ stato aperto un gruppo su Facebook che si intitola “Protestiamo contro il museo di Salò”. La ragione?  “Presso il museo di Salò intendono esporre pezzi anatomici e teste mozzate di "briganti". Non conosciamo da dove provengano questi reperti scempio di cadaveri. Riteniamo che nel 3 millennio queste esposizioni non hanno nulla di scientifico e come fatto per il Museo Lombroso questi resti di esseri umani devono trovare pietosa sepoltura nelle terre di origine. A maggior ragione se si tratti di resti di gente del Sud che ancora oggi, per pochi centesimi, viene esposta al pubblico ludibrio per il godimento dei liberatori risorgimentalisti”. Ma i cadaveri utilizzati dal Rini non sono certo di briganti del sud, non fosse altro che per lo sfasamento anagrafico. I promotori della protesta hanno anche diffuso volantini alla fiera del libro di Torino. Successivamente c’è stato un chiarimento con i promotori della protesta e il presidente del Musa Giordano Bruno Guerri ha spiegato nel dettaglio quale fosse la questione.