Alberto Saponi, 29 anni, cittadino di Prevalle che da anni ha coraggiosamente dichiarato la sua omosessualità, ha scritto una lettera al sindaco e alle istituzioni locali in merito all’apertura dello sportello no-gender in paese. Non avendo ricevuto risposta, Alberto si è rivolto ai media nazionali e la sua testimonianza è stata pubblicata sul quotidiano “La Repubblica” e sul blog della giornalista Concita De Gregorio. A partire da alcune suggestioni seguite a violenti fatti di cronaca, la sua riflessione spazia su situazioni di intolleranza quotidiana, vissute sulla propria pelle. Ospitiamo volentieri le sue parole che nascono da un’esperienza sofferta, ma mantengono comunque un tono pacato, una profondità che merita come minimo il rispetto di tutti.

Colava il rimmel. Trascinando con sé una lacrima macchiata di sangue, segnando così una lunga scia nera su quel viso, gonfio, dilaniato da lupi che picchiavano quell’esile corpo, quell’esile anima che non voleva più nascondersi ed essere se stessa. Poco dopo morì eruttando al cielo l’ultimo spasmo di fiato. Era finita, moriva perché era una transessuale, moriva in un letto di stelle pieno di sangue e di dolore, moriva lottando per la sua libertà. E voi eravate lì con la mano postata sulla spalla degli aggressori, fingendovi estranei e dichiarando “Noi non siamo omofobi”.

Il silenzio fu interrotto dal rumore legnoso della passerella di passi, di uomini incappucciati che, assegnatamente, seguivano il loro percorso. Il cigolio si interruppe nuovamente. Il gelo correva nelle loro vene, in quel deserto che mai fu così freddo. Peccaminosi sodomiti colmi d’amore, amanti di altri uomini, omossessuali nell’anima. Poi quel suono, un suono leggero, di quelli che ti si infilzano nelle tempie; un suono acuto; soppiantato nell’immediato da quello di un foucoltiano dondolio. La botola si era aperta e la corda s’irrigidì, si tirò, strillando, soffrendo lei stessa per l’abominio di cui si rese carnefice. E mentre voi precisavate di non essere omofobi, aiutavate il boia a tirare la leva maledetta e a dar loro la morte.

Una lettera postava sulla scrivania, la luce della lampada era ancora accesa, tremula ma silenziosa, mamma strillò, scoppiando in un pianto furioso, di quelli che nascono quando l’anima si rompe. Papà batteva violentemente i pugni sulla parete ad occhi chiusi. Li aveva salutati con poche righe, poche parole che avevano il peso del mondo ed il profumo dell’addio. Diceva che non avrebbe più potuto sorreggere le opprimenti offese, il bullismo dei compagni di scuola, diceva che non credeva che l’amore fosse ricoperto d’odio, diceva che questo mondo non faceva per lui. Così saltò. E nel frattempo in cui osannatiche credenti, di quelle che stanno sol pochi passi più avanti di Bocca di Rosa in processione, ci battezzavano come “figli in Cristo”, voi aprivate quella finestra e scansavate le tende.

 

Le scrivo mio caro sindaco, ti scrivo mia cara Prevalle, mia cara Italia, per cercare di farvi capire, in piccola parte, quanto fa male la parola “frocio”, quando un aggettivo o un nome riesce a smembrare più di una spada forgiata da un dio ellenico. Quando il velocissimo vibrare delle onde fa riecheggiare quell’insieme di sillabe, che seppur appena sussurrato al passaggio, urla ogni notte nell’anima. Cercare di farvi capire che cosa si prova, quando la maturità e la cognizione di te stesso ti obbligano a smetterla di mentire, di raccontare piccole e grandi bugie per vivere, e così, tra un bicchiere di coca cola ed un altro, parlarne alle persone che più ami al mondo. 

È devastante sapete, vedere tua madre piangere mentre sussurra a denti stretti di non preoccuparti e che ci sarà lei al tuo fianco. È doloroso osservare tuo padre battere i pugni con lo sguardo perso nel vuoto in un'altra direzione, rassegnato, deluso, e preoccupato per quella vita d’inferno che ti toccherà. In quegli istanti vorresti ritrattare, con la stessa rapidità dei politici quando s’accorgono che la loro nuova proposta di legge sta facendo perdere loro popolarità e punti nei sondaggi, ma ti accorgi che quel decreto legge è già stato approvato da Camera e Senato, e qualcosa in quell’attimo, appeso tra sospiri e sorsi amari, è cambiato irreversibilmente.

Quando decidi di smetterla di fuggire furtivamente la notte, quando il ronfare pesante dei parenti riempie le camere ed il salone, scappando, cercando quell’America, quella pace, quell’abbraccio che ormai è venuto meno. Non è facile fingere che tutto sommato, in realtà, non è così male poi qui. L’essere umano non è figlio dell’indifferenza, l’evoluzione della razza si ottiene nel collettivismo e non nell’individualismo, si progredisce non grazie all’odio ma grazie all’amore. Quell’amore incondizionato, così grande, così forte, che non si ferma a guardare i genitali o le connotazioni mascellari del volto o il seno più o meno sviluppato, ma passa oltre, quell’amore che ci spinge ad andare contro una tempesta, che ci forgia per affrontare il dolore. Cosa esiste di più magnifico dell’amore? Non fate sì che diventi una bestemmia, non giratevi, fingendo disapprovazione, quando un ragazzo viene deriso, etichettato, picchiato o addirittura ammazzato, non siate complici, perché in questo modo non potrete definirvi nemici dell’omofobia.

Del Gender, che esista o no, poco m’interessa, solo mi piacerebbe vedere, nelle scuole o nelle piazze, nella nostra vita di tutti i giorni, dibattiti, corsi per far sì che avvenga una sensibilizzazione, che apra la mente, che faccia sì che il bullismo non uccida un altro Marco (ragazzo quindicenne suicida perché gay) che permetta ai genitori di figli omosessuali di non respingere le loro stesse creature, per far capire agli omofobi che l’amore non sa odiare, che l’amore non uccide e soprattutto che l’amore non divide.

Il gender non è altro che tolleranza, è solo un'istruzione contro la discriminazione, contro la violenza, è un modo di cercare la sensibilizzazione dell’umanità intera nei confronti di persone che, per qualsiasi motivo, vengono ancora picchiate, derise, private dei diritti civili. Le differenze di genere, razza o credo sono figlie di una contorta guerra umana che ci mette dinnanzi a questa eterna lotta tra poveri dove possiamo trovare Emily Davison e le altre Suffragette morte per i diritti delle donne, questo è per me il Gender; o ancora Martin Luther King e tutti i negri caduti, cercando di dar dignità al loro popolo tiranneggiato dall’egemonia bianca, passando per Harvey Milk, i movimenti di Stonewall e tutte le altre vittime di un’omofobia che odia.

Gay, lesbiche, transgender, bisex. No, noi non siamo più sensibili, non ci vestiamo meglio, non abbiamo buon gusto, non giochiamo con le Barbie o con le macchinine; noi siamo esattamente come voi, siamo creature “dnaesche” della vostra stessa evoluzione darwiniana, siamo vostri fratelli, vostri amici, vostri figli. Solo siamo costretti a vivere, in molti casi, vite sospese nell’indugio e nella rinuncia alla spontaneità, con la paura che essa possa scalfire i delicati equilibri nureyevriani e faccia sfociare una banale situazione in qualcosa di catastrofico.

Non esistono veri diritti laddove manca il rispetto. Insegnate ai vostri figli, alla gente, ad ogni persona ad accettare e non ad odiare chi non ama come loro. Le situazioni, le motivazioni, le persone cambiano, ma questa è una storia che abbiamo oramai sentito troppe volte, non lasciamo soli quei ragazzi che, sopraffatti dalla vergogna e dalla paura, non hanno né il coraggio né la forza per chiedere aiuto, perché questi traumi faranno sì che la loro esistenza sia segnata, facendoli scappare nel morboso labirinto della depressione, della solitudine. Facciamo sì che questa straordinaria opportunità che abbiamo tutti noi e che chiamiamo vita sia anche per loro meravigliosa.

Quindi caro Sindaco, le chiedo solo, se riesce, anche ora, dopo questa breve finestra sulla vita di un omosessuale, ad affermare e sostenere l’utilità di questo sportello a scapito di uno a sostegno delle vittime di omofobia, se sostenere l’arrogante sapienza di bigottosi fanatici clericali o difendere la vita di quei figli che dopo interminabili giorni di offese ed insulti, si coricano e magari pensano di non essere adatti a questa esistenza e farla finita. La prego, non sia complice, non basterà poi dire “noi non siamo omofobi” quando succederà, perché se non cambia qualcosa continuerà a succedere. Amate, chiunque voi siate, amate chiunque voi vogliate, purché amiate.

Con affetto,

Alberto Saponi