La Rsa Cenacolo Elisa Baldo di Gavardo come altre case di riposo della Vallesabbia hanno bisogno di aiuto. Soprattutto di personale che possa sostenere quello impegnato da giorni in corsia con ospiti positivi, alcuni anche in gravi condizioni. Attualmente il personale operativo è ridotto al minimo perchè molte operatrici risultano positive al covid.

Il Signore questa volta non l'ha tenuta la sua mano protettiva sul nostro tetto. Questa volta il virus è entrato tra le mura di questa casa di riposo e ha decimato le sue ospiti. Ha colpito il personale, ha sferrato un durissimo attacco alla sua guida, Suor Serafina: una vita dedicata agli anziani, a lenire le sofferenze dei nostri vecchi, a proteggerli, a custodirli. Ha visto morire, una dopo l'altra le sue “nonne” una, due, tre…otto…nove

Sono andate via nel giro di pochi giorni. La prima è stata la mia mamma. Aveva 98 anni e tanti acciacchi. Ed era positiva al covid. Poi via via le altre. E allora da questo osservatorio, la camera ardente che si affaccia sul grande giardino della casa, ho vissuto da lontano, ma anche da vicino, lo sgomento, la paura, il dolore, profondo, ma allo stesso tempo muto e dignitoso della piccola comunità di casa San Giuseppe a Gavardo. La Rsa Cenacolo Elisa Baldo: 40 posti accreditati, tra cui una decina dedicati a sacerdoti anziani. In questi giorni trascorsi davanti alla bara sigillata di mia mamma, ho rivissuto vecchi ricordi personali, ma anche le belle ore trascorse qui dentro con le ospiti Pierina, Agnese, Nadia, Maria Teresa, Wilma, Anna, Silvia, Maria, Gentile, Giulia, Lucia e tutte le altre. Centinaia di pomeriggi a giocare a tombola con Maria Carla che sorteggia i numeri, Manuela che li segna al tabellone, Giorgio, Dario e Vanna, a cantare e fare musica, le merendine, le messe con don Diego, i bambini dell'asilo in visita ai nonni, le conversazioni con Don Pierluigi, i compleanni, le passeggiate nel giardino. Insieme alle operatrici: Giulia che racconta le barzellette, Mira con la sua dolcezza, Laura con le sue attenzioni, Cathy con la sua abilità a montare i ventilatori, Elena con la sua determinazione, Roberta con il suo sorriso gentile, Michelle coi suoi occhi sorridenti e tutte le altre, ognuna con la sua vita, il suo carattere, le sue premure. Adesso le vedo da lontano con gli occhi stanchi e spaventati dietro le visiere, mi salutano dalla finestre, alzando le due mani. In mezzo a tutte Suor Serafina, delle Umili serve del Signore, direttrice della casa, piglio generalesco, una straordinaria umanità. Questo maledetto virus si è insinuato subdolamente e ha fatto a pezzi la nostra piccola comunità, il nostro cenacolo, fatto di ospiti, familiari, suore, operatori, volontari. Fino a pochi giorni fa Suor Serafina ripeteva: “Il Signore ha tenuto la sua mano sul nostro tetto”. Poi, forse, si è distratto solo per un attimo e qui tutto è cambiato. Infermiere e operatrici a casa positive ai tamponi, gli ospiti lo stesso. Le più fragili non hanno retto. Patologie pregresse, l'età avanzata, il covid ha picchiato duro. Inesorabile. Così in questi giorni da lontano ho osservato l’instancabile dedizione delle poche infermiere e operatrici rimaste a fare i doppi turni (non si trova personale per dare un po’ di respiro, ma le autorità sanitarie non possono fare davvero nulla in questi casi?). Ho visto arrivare le bare degli addetti alle pompe funebri, vestiti con tute e visiere come nelle serie televisive di CSI. Ho visto i parenti chiamati a visitare un' ultima volta, per l'ultimo saluto la propria mamma, nonna, sorella. Cinque minuti avvolti nei camici azzurri, le lacrime colare sulle mascherine fp2. Il dolore ha il rumore del fiume Chiese che scorre, tumultuoso in questi giorni di piena, qui accanto. Vorrei abbracciarle tutte le signore che ho conosciuto qui, le infermiere, le suore, i medici. Vorrei dire loro che passerà, che verrà un nuovo tempo. Non sono certa ma voglio sperarlo. E se qualcuno osa dire che tutto questo è un'invenzione o in fondo “solo un' esagerazione” faccio voto di tirargli il collo con le mie mani.

Maria Paola Pasini

 

La lettera è stata pubblicata sul Corriere della sera Brescia il 9 dicembre 2020